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Bioetica

[La Bioetica è una] disciplina, costituitasi negli anni Settanta nell’ambito delle scienze umane integrando temi ed esigenze dell’etica, individuale e sociale, e nuove conoscenze medico-biologiche, che ha, come particolare oggetto d’interesse, il comportamento dell’individuo, del medico e della società nei confronti di problemi essenziali che riguardano: la vita intrauterina (manipolazione genetica, eugenica, aborto preventivo e terapeutico), la morte (casi di senilità grave e irreversibile, sopravvivenza vegetativa di soggetti cerebrolesi, eutanasia), la sperimentazione e l’intervento chirurgico sull’uomo e sugli animali (sperimentazione di farmaci, psicochirurgia, vivisezione), l’aumento demografico (controllo delle nascite, sterilizzazione), la tutela degli equilibrî ecologici e dell’ambiente naturale.



Etica di Fine Vita

Dall'incontro-dibattito per la presentazione del libro ‘La vita è uguale per tutti. La legge italiana e la dignità della persona’ dell’On. Paola Binetti, tenutosi a Roma il 9 giugno 2009, dal titolo: "Etica di fine vita":

“Non esiste una vita che non sia tale. O è vita o non è. In questo senso, non ritengo accettabile parlare di ‘vita artificiale’”. Così il Prof. Joaquín Navarro-Valls, Presidente dell’Advisory Board dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, intervenendo all’incontro Il progetto formativo Campus e l’etica di fine vita, svoltosi oggi presso il Policlinico Universitario dell’Ateneo romano e nel corso del quale sono stati presentati i contenuti dell’ultimo libro dell’On. Paola Binetti, dal titolo ìLa vita è uguale per tutti. La legge italiana e la dignità della persona’, edito da Mondadori.

Sostenendo che la vita “non è un problema teoretico, ma un problema di fatti che vanno appurati”, Navarro-Valls ha sottolineato l’importanza del “rigore metodologico e intellettuale”, in quanto “il riferimento è direttamente alla razionalità umana. Non è quindi necessario arrivare a parlare di questi temi dal punto di vista religioso”.

Nel confronto e nel rapporto tra etica e scienza sperimentale, Navarro-Valls ha poi indicato la strada per arrivare, in maniera razionale, a dare risposte agli interrogativi che hanno caratterizzato il dibattito pubblico sul fine vita.

“L’etica, in senso molto ampio – ha spiegato – applica principi universali al caso concreto. Nella definizione del caso concreto, con l’etica non posso dire che una persona è viva o no. Me lo deve dire il medico, con le tecniche delle scienze sperimentali. Però, se lui mi dice che c’è vita, allora potrò dire come comportarmi di fronte a questa vita. Ciò significa che l’interrelazione tra le scienze positive e il pensiero etico dev’essere continua, insistente, chiara. Se etica e scienza vanno avanti su linee parallele, sarà il disastro. Le scienze positive andranno avanti usando una mera compassione mentre, dall’altro lato, ci sarà un pensiero etico che ragiona con i concetti e non con i fatti, che sono invece i veri costituenti della vita”.

Da parte sua, il Prof. Paolo Maria Rossini, Neurologo e Direttore Scientifico del Centro Integrato di Ricerca dell’UCBM, ha chiarito che “quando Navarro-Valls dice di chiedere agli esperti di confermare se una persona è viva o no, credo che lo specialista dovrebbe avere l’umiltà di dire, in alcune situazioni, ‘non lo so’. In questi mesi, sul caso Eluana, sono state fatte una serie di affermazioni definite ‘scientifiche’, che di scientifico non hanno nulla. Una ricerca scientifica su più di 100 pubblicazioni ha dimostrato invece che sullo stato vegetativo si riscontrano incertezze continue e crescenti. Applicando nuove tecnologie ai casi ritenuti di stato vegetativo, negli ultimi 5-6 anni, sono emerse una serie di domande che prima non c’erano. Se, ad esempio, facendo una risonanza magnetica funzionale al cervello per testarne l’attività si vede che vengono attivate aree di contenuto cognitivo importante, non si può far finta di nulla. Cosa che invece è accaduta, nonostante siano stati pubblicati, sul tema, articoli autorevoli valutati da giudici internazionali e studi non finanziati dal Vaticano, né tantomeno seguiti da ricercatori cattolici”.

“Per questo – ha dichiarato Rossini – penso che anche nel caso di Eluana, dal punto di vista medico, sarebbe stato il caso di fermarsi, di promuovere più ricerca, seguendo con attenzione l’evolversi dei riscontri, anziché ostinarsi a difendere affermazioni che di scientifico non hanno nulla”.

In conclusione, il neurologo ha invitato a “lanciare una grande campagna di prevenzione per le richieste eutanasiche, venendo incontro alle esigenze del paziente malato e sofferente e della sua famiglia. È un discorso ampio, non legato solo alle questioni delle risorse o dell’assistenza domiciliare, pure importantissime. È un dibattito sul significato del termine vita con la ‘V’ maiuscola, che va approfondito in ogni suo ambito”.

Nel riprendere le parole di Rossini, il Dottor Giuseppe Casale, Coordinatore Sanitario e Scientifico dell’Unità Operativa di Cure Palliative ANTEA, ha ricordato la propria personale esperienza in occasione del caso-Welby, descrivendo il luogo in cui il paziente si trovava a vivere e la solitudine alla quale era costretto. “Gli offrii – ha ricordato Casale – di venire nella nostra struttura: si rifiutò, perché voleva restare lì e vivere, come già dissi al tempo, ‘con una bandiera in mano’”.

Ha fatto eco alle parole del Prof. Rossini anche l’On. Paola Binetti nel suo intervento. “Ciò che è in atto in questo momento – ha sostenuto – è il tentativo di sostituire a una mentalità che fa della vita il cardine intorno al quale ruota, ad esempio, tutto il nostro Sistema Sanitario Nazionale, con tutte le sue spese, con un’idea per la quale la vita è solo un bene individuale”.

“La questione dominante – ha aggiunto Binetti – è la difesa del diritto del paziente a dire ‘non voglio più vivere, quindi fatemi morire’. E siamo debitori al caso di Eluana di un’evidenza che non potremo mai più avere. Chi mai avrebbe potuto dire: sospendiamo nutrizione e idratazione per tre giorni a un paziente e vediamo che cosa succede...

Ci sarebbe sembrato un esperimento criminale. Bene, l’applicazione del protocollo ci ha rivelato come 17 anni di nutrizione e idratazione mantengano in vita e come invece tre giorni di sospensione di nutrizione e idratazione siano stati causa di morte”.

L’Onorevole ha quindi richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sulla necessità di “restituire senso al valore della vita attraverso la categoria della solidarietà. Nessuno vuole morire se pensa che la sua vita abbia un ‘senso’ per qualcun altro, se si percepisce non di peso per l’altro che ama e da cui è amato”.

Binetti si è detta certa che la legge sul testamento biologico, presto in discussione alla Camera dopo la prima approvazione al Senato, “sarà di poco migliorata rispetto al testo del Senato. Ma sarà una legge che dirà ‘sì alla vita, no all’eutanasia, sì all’alleanza terapeutica, no all’accanimento terapeutico’. Non dirà nulla più”.

“Della legge – ha aggiunto – non ce ne sarebbe stato bisogno, se non ci fossero state, da un lato, le provocazioni della magistratura, ma soprattutto se non ci fosse questa mentalità che, come una marea montante, cerca di scalzare nella mente delle persone delle categorie concettuali che sono radicate nel senso comune, nella legge naturale e nel sentire delle persone. Contro questo tipo di mentalità, nel mio libro ho ricostruito fatti ed eventi di questi anni che hanno dimostrato come Eluana sia stata assunta, già nel ’95, a paladina di un’idea. Il papà avrebbe potuto portarla a casa e staccare il sondino, da solo. Ma si voleva a tutti i costi che questo caso portasse a una legge che dicesse che ognuno è libero di fare quello che vuole, come vuole e senza nessuna ripercussione sulla vita”.

La parlamentare ha poi lanciato un allarme sulle nuove, probabili provocazioni che verranno lanciate su questo tema, nel quale la posta in gioco è la radicalizzazione del diritto sulla vita fino a sancire il diritto sulla morte. “Per questo – ha sottolineato – è fondamentale che tutto il personale di quest’università sappia smascherare in modo umano, e non come atto ostile nei confronti della sofferenza, il ‘desiderio di morire’ di qualche paziente, che tutti possiamo provare. C’è gente che desidera di morire davanti a un insuccesso profondo, di fronte alla fine di una storia d’amore. Ma questo presunto desiderio è in realtà come una provocazione in senso opposto. Dice a chi sta intorno: ‘mi manca l’aria, mi sento solo, non riesco più a dare un senso alle cose che faccio, aiutami a ricostruire tutto questo’. Quindi, se c’è un’umanità profonda nel desiderio di morire, c’è allo stesso tempo una sollecitazione profonda per ognuno di noi a sentirci parte viva di questa comunità umana. Questa è l’umanizzazione della medicina, che è poi l’umanizzazione della vita, e passa soprattutto per la qualità dei rapporti interpersonali”.

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